Uno degli studi che più ci
affascina è quella del cervello olonomico di Karl Pribram. Una teoria
molto discussa forse anche perchè, per semplificare, giustificherebbe l’ipotesi
secondo la quale ognuno di noi vive in una Matrix, in un campo di
interconnessioni dove nulla è ciò che sembra.
Interessante?
Gli studi di Pribram partono
da una domanda che, quasi sicuramente, molti di noi si sono fatti.
Dove
avviene, esattamente, la
percezione a livello cerebrale?
Per tentare di rispondervi,
Pribram si interessò agli studi del suo maestro, Karl Lashley, il padre
fondatore della psicologia fisiologica nord-americana, volti in parole semplici
a comprendere la localizzazione della sede della nostra memoria, ovvero il nostro
hard disk interno.
Partendo dal principio
secondo cui le funzioni psichiche fossero localizzabili, Lashley asportò una ad
una le parti principali del cervello di alcuni topi che avevano appreso
un percorso complesso, fino a quando si accorse che perfino quando era stata danneggiata
la maggior parte del cervello, deteriorato al punto da compromettere le
loro abilità motorie, i topolini continuavano a ricordare il percorso. La
memoria, quindi, sembrava essere distribuita in ogni parte del cervello,
efficace ovunque nel medesimo modo.
Fu così che Pribram si
concentrò sulla visione. Fino a quel momento la versione accettata e
condivisa riguardo alla percezione visiva, voleva che essa avvenisse grazie
alla messa a fuoco degli oggetti da parte del sistema sensoriale deputato a
questo compito, riproducendone poi le caratteristiche a livello corticale ed
inviando quindi l’informazione all’area visiva primaria. Lo abbiamo pensato
tutti: a ben vedere, proprio come se avessimo una macchina fotografica interna
che riproduce fedelmente le caratteristiche del mondo esterno di cui facciamo
esperienza.
Ci sbagliavamo. Nemmeno questi esperimenti portarono a validi
risultati, o almeno, non nella direzione attesa. Essi mostrarono infatti che si
poteva danneggiare quasi completamente tutto il nervo ottico di un gatto senza
interferire in modo evidente con la sua capacità di vedere ciò che stava
facendo, i suoi movimenti e così via.
Con buona pace dei topi
prima e dei gatti poi, gli esperimenti sulla visione – proprio come quelli
sugli engrammi – mostrarono che basterebbe una piccola porzione rimasta
inalterata del tratto ottico (come prima di tessuto cerebrale), per ricostruire
l’informazione visiva (come prima la rievocazione della routine). Tutto questo
chiaramente non è in accordo con quanto detto sulla macchina fotografica, che
deve essere integra in ogni sua parte per poter fornire immagini chiare e
complete.
Ecco allora che finire degli
anni ’50 Pribram si imbatté in una serie di studi che indirizzarono verso nuove
strade ed ipotesi le sue ricerche. In particolar modo fu colpito da alcuni
articoli circa l’olografia ottica, una tecnologia allora emergente, e
dalla particolare metafora sul funzionamento del cervello che essa offriva.
Il modello olografico non solo
chiarisce la natura distribuita delle nostre memorie, ma anche la capacità del cervello di contenere un gran numero di
informazioni! Se si utilizzano laser con diverso raggio di
incidenza sulla pellicola olografica, è possibile registrare diverse immagini
su una stessa superficie. Se la pellicola viene fatta oscillare avanti e
indietro, le varie immagini che contiene appaiono e scompaiono in un continuo
flusso scintillante. La nostra capacità di
ricordare sembra essere analoga al puntare un raggio laser su una porzione di
pellicola e richiamare un’immagine particolare. Similmente, quando non riusciamo a ricordare qualcosa, questo potrebbe
equivalere a puntare vari raggi su una porzione di pellicola a immagini
multiple, senza riuscire a trovare la giusta angolazione per richiamare
l’immagine/ricordo che stiamo cercando.
Ancora più interessante è la capacità della tecnica
olografica di spiegare le associazioni della nostra memoria. Se il raggio laser
viene fatto rimbalzare in sequenza su due oggetti distinti, ad esempio una mela
e un telefono, lo schema di interferenza risultante viene impresso sulla
pellicola. Se si illumina con il raggio laser solo il telefono, la luce
riflessa che colpisce la pellicola darà vita all’ologramma della mela, e
viceversa.
Se i nostri cervelli funzionano olograficamente, un processo simile potrebbe essere responsabile del modo
in cui certi oggetti, percezioni, persone, evocano memorie specifiche dal
nostro passato. Ogni situazione che viviamo o abbiamo vissuto,
infatti, si compone di tanti elementi, ognuno dei quali genera un ologramma.
Ogni dettaglio che successivamente re-incontriamo, quindi, può essere in grado
di ri-attivare il ricordo della situazione d’insieme…e, ogni percezione visiva,
olfattiva, uditiva o emotiva può essere codificata in un ologramma!
Post a cura di Barbara Lazzati
Nessun commento:
Posta un commento