lunedì 28 marzo 2016

IL MISTERO DELLA MENTE



Uno degli studi che più ci affascina è quella del cervello olonomico di Karl Pribram. Una teoria molto discussa forse anche perchè, per semplificare, giustificherebbe l’ipotesi secondo la quale ognuno di noi vive in una Matrix, in un campo di interconnessioni dove nulla è ciò che sembra.
Interessante?



Gli studi di Pribram partono da una domanda che, quasi sicuramente, molti di noi si sono fatti.



Dove avviene, esattamente, la percezione a livello cerebrale? 




Per tentare di rispondervi, Pribram si interessò agli studi del suo maestro, Karl Lashley, il padre fondatore della psicologia fisiologica nord-americana, volti in parole semplici a comprendere la localizzazione della sede della nostra memoria, ovvero il nostro hard disk interno. 



Partendo dal principio secondo cui le funzioni psichiche fossero localizzabili, Lashley asportò una ad una le parti principali del cervello di alcuni topi che avevano appreso un percorso complesso, fino a quando si accorse che perfino quando era stata danneggiata la maggior parte del cervello, deteriorato al punto da compromettere le loro abilità motorie, i topolini continuavano a ricordare il percorso. La memoria, quindi, sembrava essere distribuita in ogni parte del cervello, efficace ovunque nel medesimo modo.



Fu così che Pribram si concentrò sulla visione. Fino a quel momento la versione accettata e condivisa riguardo alla percezione visiva, voleva che essa avvenisse grazie alla messa a fuoco degli oggetti da parte del sistema sensoriale deputato a questo compito, riproducendone poi le caratteristiche a livello corticale ed inviando quindi l’informazione all’area visiva primaria. Lo abbiamo pensato tutti: a ben vedere, proprio come se avessimo una macchina fotografica interna che riproduce fedelmente le caratteristiche del mondo esterno di cui facciamo esperienza.



Ci sbagliavamo. Nemmeno questi esperimenti portarono a validi risultati, o almeno, non nella direzione attesa. Essi mostrarono infatti che si poteva danneggiare quasi completamente tutto il nervo ottico di un gatto senza interferire in modo evidente con la sua capacità di vedere ciò che stava facendo, i suoi movimenti e così via.



Con buona pace dei topi prima e dei gatti poi, gli esperimenti sulla visione – proprio come quelli sugli engrammi – mostrarono che basterebbe una piccola porzione rimasta inalterata del tratto ottico (come prima di tessuto cerebrale), per ricostruire l’informazione visiva (come prima la rievocazione della routine). Tutto questo chiaramente non è in accordo con quanto detto sulla macchina fotografica, che deve essere integra in ogni sua parte per poter fornire immagini chiare e complete.



Ecco allora che finire degli anni ’50 Pribram si imbatté in una serie di studi che indirizzarono verso nuove strade ed ipotesi le sue ricerche. In particolar modo fu colpito da alcuni articoli circa l’olografia ottica, una tecnologia allora emergente, e dalla particolare metafora sul funzionamento del cervello che essa offriva.




Il modello olografico non solo chiarisce la natura distribuita delle nostre memorie, ma anche la capacità del cervello di contenere un gran numero di informazioni! Se si utilizzano laser con diverso raggio di incidenza sulla pellicola olografica, è possibile registrare diverse immagini su una stessa superficie. Se la pellicola viene fatta oscillare avanti e indietro, le varie immagini che contiene appaiono e scompaiono in un continuo flusso scintillante. La nostra capacità di ricordare sembra essere analoga al puntare un raggio laser su una porzione di pellicola e richiamare un’immagine particolare. Similmente, quando non riusciamo a ricordare qualcosa, questo potrebbe equivalere a puntare vari raggi su una porzione di pellicola a immagini multiple, senza riuscire a trovare la giusta angolazione per richiamare l’immagine/ricordo che stiamo cercando.



Ancora più interessante è la capacità della tecnica olografica di spiegare le associazioni della nostra memoria. Se il raggio laser viene fatto rimbalzare in sequenza su due oggetti distinti, ad esempio una mela e un telefono, lo schema di interferenza risultante viene impresso sulla pellicola. Se si illumina con il raggio laser solo il telefono, la luce riflessa che colpisce la pellicola darà vita all’ologramma della mela, e viceversa.



Se i nostri cervelli funzionano olograficamente, un processo simile potrebbe essere responsabile del modo in cui certi oggetti, percezioni, persone, evocano memorie specifiche dal nostro passato. Ogni situazione che viviamo o abbiamo vissuto, infatti, si compone di tanti elementi, ognuno dei quali genera un ologramma. Ogni dettaglio che successivamente re-incontriamo, quindi, può essere in grado di ri-attivare il ricordo della situazione d’insieme…e, ogni percezione visiva, olfattiva, uditiva o emotiva può essere codificata in un ologramma!

Post a cura di Barbara Lazzati 

Nessun commento:

Posta un commento